Camera con vista di Edward Morgan Forster

di Niccolò Menichinelli

Camera con vista è un romanzo, o racconto, che dir si voglia, costellato di alti e di bassi, di picchi narrativi sublimi e di momenti di impantanamento e di alta viscosità. Tuttavia, sono molti i temi che possono essere trattati a partire dalla sua lettura e cercheremo di sviscerarli, tentando anche di fornire un giudizio complessivo sul libro, per come si presenta.

Benché ambientato inizialmente in Italia, nella mia carissima Firenze, di fiorentino c’è poco: Forster ci trasporta, già dai primi dialoghi, nella dimensione della media borghesia inglese post-vittoriana. Durante tutto lo svolgimento delle vicende, i giudizi morali e comportamentali sono infatti parte integrante della narrazione, rappresentativi di una cultura snobistica e falsamente altolocata, che cerca di darsi una dignità con il conservatorismo. Un lettore contemporaneo può dire che nessun personaggio rifugge da questo culturame, ma, immedesimandosi nell’autore e nei suoi intenti dell’epoca, centoventi anni fa, emergono delle eccezioni: Lucy e gli Emerson in prima fascia, e secondariamente, a causa della gerarchia dei personaggi, anche Freddy e Miss Lavish.

L’etichetta e la morale sono anche la primaria causa del punto di rottura dell’equilibrio, che avviene però nelle ultime pagine, questione che caratterizza in modo peculiare il romanzo. Solitamente, infatti, si assiste a un ribaltamento dello status quo molto prima rispetto a ciò che avviene in Camera con vista, che tuttavia contiene una fase preparatoria più che notevole: dal primo bacio fra Lucy e George al discorso postumo al secondo, la corda si tira e si sfilaccia sempre di più, arrivando a spezzarsi nel momento in cui Miss Honeychurch opta per terminare la relazione con Cecil Vyse. L’elettricità e il precario equilibrio sopperiscono a una mancanza di dinamicità a livello fisico: le azioni improvvise si contano sulle dita di una mano, Forster ha deciso di basare l’attrattività del suo romanzo quasi esclusivamente sui travagli interiori della protagonista, rendendo i luoghi e gli eventi una mera ma graziosa cornice.

Da un punto di vista filosofico, si può affermare che Camera con vista è un romanzo nietzschiano, proprio per l’utilizzo consapevole che alcuni personaggi fanno della morale. L’esempio più eclatante è l’ostracismo che subiscono gli Emerson in Italia, tacciati quasi di scarsa inglesità per il fatto di esser personaggi più aperti, meno bigotti e, ultimo dei misfatti, socialisti. Mr Eager, uno dei personaggi più rivoltanti di tutte le pagine, arriva ad accusare Emerson padre di aver ucciso la moglie in chiesa, quando il suo sbaglio, a detta sua, è semplicemente stata la decisione di non far battezzare George. Constatare la libertà intellettuale degli Emerson è intollerabile per gli ospiti della pensione Bertolini che, non avendo gli strumenti psichici e culturali per intrattenere un dialogo di alto livello, si rifanno con l’etichetta sul padre e sul figlio. Questo clima oppressivo lo percepisce anche Lucy, sia in Italia, quando la sua virtù di pianista è individuata come causa di piccole ribellioni giovanili, ma anche a casa, a Windy Corner, dove la madre pretende costantemente che si seguano rigide e ipocrite regole di vita, che poco spazio lasciano alla spontaneità, mentre il fidanzato insiste nel volerla indirizzare in ogni campo della sua esistenza.

Merita un approfondimento anche il rapporto, comune, fra Cecil, Lucy e George. Il primo è il tipico marito patriarcale, la quale autorità deve prevaricare ogni libertà della moglie, anche quella di pensiero, come si evince dal discorso di rottura del fidanzamento: Mr Vyse scusa la mancata consorte con la stanchezza, non riuscendo a concepire che una donna, in quanto tale, possa riuscire a elaborare un proprio pensiero, a scegliere per sé stessa. La velata accusa di Cecil è quella che, in passato, era mossa alle donne sotto il concetto di isteria, di modo che ogni getto di autonomia, di dissenso verso un sistema oppressivo e repressivo fosse derubricabile non alla libera coscienza di una donna, che appunto, nel pensiero patriarcale, non può esistere, ma al disagio mentale. Lucy a questo si oppone, è un personaggio coraggioso perché, incarnando un femminismo del quale poi diventa conscia, cerca di contrapporsi strenuamente alla morale che la ingabbia: vuole uscire da sola a Firenze, vuole poter lasciare Cecil, vuole andarsene in Grecia. Infine, abbiamo appunto George, Nietzsche in persona, che incarna così bene l’equilibrio tra apollineo e dionisiaco: il suo amore per la cultura, per il bello, si concilia con la sua passionalità e la sua avventatezza, portandolo a conquistare l’amore di Lucy con gesti avventati, spregiudicati, ma comunque danzanti e liberi.

Da questi ragionamenti emerge la naturale conciliazione fra George e Lucy, ritardata però dalle questioni morali che prima ho delineato. Tutto il romanzo, come evidente, tratta della tossicità della società inglese dell’epoca, che si porta dietro uno strascico di superiorità quasi razzista e sicuramente classista. In Italia il comportamento di Miss Bartlett e Miss Lavish è agghiacciante, soprattutto nei confronti dei fiorentini, trattati come cagnolini o come marionette, tutti al servizio dei britannici in gita. Parimenti, trasudano classismo i costanti riferimenti di Mrs Honeychurch e di Cecil, costantemente impegnati a darsi una dignità con soldi e con dogmi morali, biasimando pesantemente chi esce, anche solo con un piede, dal recinto. Gli esempi qui si sprecano, ma è lapalissiana l’intenzione di Forster di stigmatizzare certe condotte che lui, nei contesti più elevati, avrà sicuramente esperito

Può essere interessante anche l’analisi di personaggi quali Arthur Beebe e Charlotte Bartlett. Entrambi rimangono impregnati, per l’anno circa di durata dei fatti, delle squallide discriminanti morali che sono state descritte pocanzi, ma rispetto ai Mr Eager, ai Cecil e alle Mrs Honeychurch ho notato delle differenze. Si può dire che il sacerdote e la cugina svolgono un ruolo di catalizzatori dei fatti, mettendo in discussione il sostrato culturale nella quale sono stati pasciuti, a favore invece di un ideale più nobile della morale, ossia l’amore. L’episodio finale dell’incontro fra Lucy ed Emerson è un ottimo esempio dell’indulgenza di Charlotte, fastidiosa ma comunque mai catechizzatrice nei confronti della cugina; analogamente, la comprensione che Mr Beebe offre alla giovane dopo la rottura col futuro sposo è sintomo di flessibilità, non sociale ma personale.

Il tema dell’amore è infatti sacrificato a quello della lotta per la propria autodeterminazione, che però Forster ci offre da un punto di vista insolito, quello dell’alta borghesia. In letteratura, la parte del civile bigotta e vendicativa verso la virtù è sempre stato il popolo, la plebe, con le eccezioni che, confermando la regola, finivano vittime del sistema nelle quali erano nate. Qui invece, ed è per questo che si tratta di critica sociale, è l’aristocrazia a rendersi oppressiva, non solo verso i meno abbienti, ma anche verso i meno conformi, come Lucy e gli Emerson. L’autore decide di farci provare la pietas di cui parla Schopenhauer, quella verso chi pare che stia meglio, verso chi invidieremmo, cioè Lucy e la sua condizione economica. Forster tra le righe ci manda un messaggio di pace, ci invita a considerarci tutti come pari all’interno delle sofferenze, diffondendo la cristiana missiva dell’aiuto al prossimo, anche a costo di porgere l’altra guancia. Uno scorcio totalmente diverso, uno dei tanti per il quale il romanzo merita la lettura.

Appena chiuso il libro mi sono chiesto se non fosse stato opportuno un finale triste, contenente del dolore, non solo potenziale ma effettivo. Il ruolo del dolore infatti è più nascosto, meno esplicito e forse, visto il finale, anche meno incisivo: la sofferenza è presente, quella amorosa più di tutte, ma è latente, poiché proiettata verso il futuro. Lucy, il cui punto di vista è quello adottato più frequentemente, soffre in potenza, per un matrimonio che non la renderà felice, ma nell’immediato si può meglio parlare di malinconia e di tristezza. L’unica critica che mi sento di muovere all’autore è infatti l’assenza di un elemento anche vagamente tragico, che non sintetizza in un episodio della trama tutte le risultanze degli episodi pregressi. La scelta comunque è coerentissima con la prevalenza della narrazione interiore.

Per concludere, mi sento di raccomandare la lettura di Camera con vista, ottima palestra filosofica e politica, benché vada trovata fra le righe, fra i concetti che Forster, velatamente, decide di farci captare.

Lascia un commento