1984 di George Orwell

di Niccolò Menichinelli

Insieme a La fattoria degli animali, 1984 è il romanzo più famoso pubblicato da George Orwell nel 1949. L’opera tratta anch’essa di politica, analizzando nel particolare, seppur non dichiaratamente, le declinazioni più svariate della dittatura sovietica, che nel libro assumono connotati estremi e talvolta assurdi. Tuttavia, le contraddizioni illustrate da Orwell possono agilmente essere estese a ogni tipo di regime totalitario, facendo del libro anche un documento di lucida analisi storica.

Il protagonista è Winston Smith, trentanovenne dipendente statale dell’Oceania, lo Stato che appunto vuole essere metafora dell’URSS. Smith è un normale impiegato inserito in un contesto esasperante, quello della dittatura del Grande Fratello, in cui ogni capillare della vita umana è controllato dal Partito, unico ovviamente, tramite svariati teleschermi, palesando i timori di Orwell verso le possibili tecnodittature del futuro. Sin dai primi passi si comprende come Smith sia tuttavia diverso dai suoi compatrioti, ormai lobotomizzati dalla propaganda: ha sì difficoltà nel ricordare i tempi passati, quelli antecedenti alla Rivoluzione portata avanti dal Grande Fratello, ma si dimostra comunque cosciente della nocività del suo stile di vita, privo di soddisfazioni riconducibili al benessere individuale; approfondendo, si capisce come anche il benessere collettivo sia ampiamente ridotto, sacrificato per gli interessi dei massimi dirigenti di Partito, quali O’Brien e altri, e mascherato appunto da una propaganda martellante e penetrante. Il senso di coscienza di Smith aumenta via via che si procede con la lettura, culminando però in un suo annientamento a causa delle politiche del Partito.

La trama è intrisa di un forte simbolismo, volto a spiegare sottotraccia le dinamiche sociali che, in particolare nell’URSS ma in generale in ogni totalitarismo, portano alla giustificazione e alla prosperità di essi; sono infatti presenti anche elementi strettamente legati alla realtà, quali la propaganda, il culto del leader, il culto della guerra, le politiche di razionamento, le epurazioni, che comunque proiettano il romanzo in una dimensione strettamente concreta, facendone un’opera, oltre che narrativa, anche storiografica. Anche quegli elementi inconsueti o estremizzati, come i teleschermi o la devozione sfrenata per il Grande Fratello, in realtà riportano ai fatti reali del fanatismo politico e delle polizie di regime, che in epoca passata, e ancora in certi luoghi del mondo, erano qualcosa di concreto e tangibile. L’elemento parodistico presente nel romanzo si rivela quindi estremamente attendibile anche a livello storico, poiché inscena situazioni dall’alta carica di verosimilità.

Importante è approfondire l’ambientazione del romanzo, per fini narrativi, poiché, a differenza de La fattoria degli animali, qui ci troviamo realmente all’interno di un contesto sociale e geografico, sicuramente, nella realtà, più complesso di una azienda agricola. I fatti si svolgono appunto a Londra, città immaginaria a capitale dell’Oceania, che invece è riconoscibile come il continente che possiamo effettivamente visitare nel mondo reale. Il parallelismo tra vero e verosimile è spesso ricorrente nel romanzo, soprattutto nelle caratteristiche della burocrazia, e probabilmente rivela l’intenzione dell’autore di evidenziare che ogni aspetto legato al controllo, anche il più bizzarro, può verificarsi: quando ci arrivano notizie sconfortanti, incredibili per noi occidentali con meno problemi, tendiamo a non crederci, quindi Orwell probabilmente, con le sue tecniche narrative, cerca di catapultarci in un mondo senza certezze. È anche per questo fatto che il soggetto scelto come protagonista è un uomo qualunque, che addirittura porta il cognome più diffuso in tutti i Paesi anglofoni, a testimoniare come le dittature non siano fenomeni ascrivibili a popolazioni acritiche e poco acculturate, ma possono coinvolgere ognuno di noi; a corroborare ciò ci pensa una specifica tecnica narrativa, che conferisce allo scritto l’idea di essere in prima persona, quando in realtà il narratore è esterno, quasi onnisciente.

Riguardo l’aspetto storico e sociologico, 1984 offre una panoramica interessante, quasi a livello documentaristico, sulla struttura dei regimi totalitari, approfondendo nel particolare il tema del controllo delle masse. Esso infatti avviene attivamente, tramite i celebri teleschermi e la Polizia del Pensiero, ma anche passivamente, tramite una propaganda incessante che ha il primario obiettivo di plasmare coscienze asservite al Partito e il secondario fine di individuare, quasi come utilizzando un colino, i residui sociali totalmente avversi al pensiero unico imposto dai gerarchi più importanti. Il sistema di propaganda è alimentato dalla maggior parte delle energie dell’apparato burocratico, proprio come avveniva nell’Unione Sovietica: l’obiettivo non è far sì che le cose vadano bene, ma far finta che sia così. Questa dinamica inquietante, illustrata dagli episodi di censura della stampa e della letteratura nel romanzo, è un perpetuo invito al mantenimento del senso critico, dato che la salute di una democrazia passa soprattutto dal grado di informazione seria e indipendente che i cittadini ricevono, e che altrimenti rischia di causare situazioni come quelle dell’Oceania orwelliana.

A proposito di ciò, è particolare la scelta di rappresentare nei canoni classici una dittatura, anche rivelandone gli aspetti contraddittori, come la pretesa di essere migliore delle altre e di avere un obiettivo umano superiore a ogni altra esperienza politica. Ogni fatto che Orwell narra ha una corrispondenza nella realtà dei fatti, passata e purtroppo anche presente, facendo dell’opera, per i motivi già elencati e per quelli che si tratteranno a breve, un testo che, nella mia opinione, andrebbe promosso anche a livello istituzionale, per eliminarne la patina sfruttata dai politici e creare reale coscienza sociale nelle persone. Emerge quindi in modo netto la volontà dell’autore di includere, anche a livello emotivo, puntando sul tema dell’amore, il lettore nell’assurdità della trama, della quale è bene esperire per non ripeterla nella realtà.

A livello di trama, quindi dando un giudizio superficiale, 1984 non risulta essere un’opera di particolare rilevanza artistica, data comunque la scarsità di grandi sconvolgimenti e il finale banale e scontato. Tuttavia è bene considerare il libro nella sua interezza e guardando anche al suo fine ultimo, cioè quello di spiegare, con espedienti narrativi facilmente comprensibili a un pubblico non accademico, concetti racchiusi in libri di storia, di sociologia e di scienze politiche, che hanno con Orwell un rapporto ermeneutico: sono sì creditori, per le solide basi scientifiche su cui 1984 poggia, ma anche debitori, per l’eccellente dote esplicativa di fatti molto complessi che il libro è riuscito a impaginare.

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